Aspettavamo con un misto di ansia ed impazienza il giorno in cui saremmo partiti alla volta del Lago d’Aral e lì saremmo stati per trascorrere la notte. Un po’ perché online non trovavamo informazioni su come fosse lo yurt camp sulle rive del Lago, un po’ perché avevamo il terrore la zona fosse pericolosa. In mezzo al nulla, sul fondo di un lago scomparso di cui rimane solo il ricordo, senza telefono, con un estraneo che non parla che poche parole d’inglese (e noi non parliamo che poche parole di russo). A scriverla così, la storia, gli ingredienti affinchè qualcosa vada male ci sono tutti.
Eppure tutto é andato oltre le aspettative.
L’organizzazione
Un sogno di difficile (e costosa realizzazione) — di cui si trovano ben poche risposte online. Dove si trova lo yurt camp? A Moynaq? E’ un posto sicuro? Ne vale la pena? Torneremo vivi?
Questa e tantissime altre domande rimbombavano nella nostra testa — con un misto di ansia e preoccupazione — man mano che si avvicinava la data di partenza.
L’esperienza avuta a Bukhara in cui, con i problemi in corso, comunicare risultava complesso ci aveva un po’ scoraggiato — tanto da tentare di cancellare l’escursione a soli due giorni dalla data stabilita. Ma Murad — l’organizzatore e capo di Islambek Travel — era stato perentorio: è già tutto prenotato e non potete tirarvi indietro.
L’idea di trascorrere due giorni con un autista che, in caso di qualunque problema fosse capitato, non sarebbe riuscito a comprendere che una parola di quel che gli avrei detto mi metteva qualche preoccupazione, lo ammetto.
Col senno di poi — tutto é andato alla perfezione, merito anche dell’incontro casuale avvenuto all’ora di pranzo con Richard e Brigitta, due italiani che come noi — lo stesso giorno — condividevano lo stesso percorso e destinazione, con la stessa agenzia, ma con un auto differente.
Per gli appassionati del turismo delle catastrofi — questo é un viaggio che va fatto. Per riflettere, per imparare, per migliorarsi. Ed imparare dagli errori altrui — se mai dovesse capitare l’eventualità in futuro.
Le agenzie
Islambek Travel può esservi utile nel momento in cui deciderete di partire da Khiva. Nel caso siate già a Nukus l’agenzia di riferimento é Aral Discovery.
Tuttavia, in base al vostro punto di partenza, valutate entrambe le offerte in termini economici in quanto partire da Khiva potrebbe convenirvi nel caso in cui non abbiate interesse a raggiungere e soggiornare a Nukus solo come punto di partenza per la spedizione sul Lago d’Aral.
Il viaggio
Le strade erano ancora buie quando usciamo nel piazzale del Khiva Palace. Ad attenderci — un auto con lo stemma Islambek Travel.
Un viaggio, sulla carta, infinito. Da vivere ancor di più.
Tratta | Distanza | Tempo necessario |
---|---|---|
Khiva - Nukus | 220km | 4 ore |
Nukus - Moynaq | 200km | 4 ore |
Moynaq - Lago d’Aral | 150km | 3 ore |
Da Khiva alle rive del Lago d’Aral sono la bellezza di 570 km per un totale, tra berlina ed offroad — di 11 ore di viaggio.
Chilpik Kala
Verso Nord enigmatiche rovine di città fortificate emergono da distese semi desertiche — e si intravede ciò che resta di insediamenti che presidiavano il confine tra le zone di pianura coltivate e la steppa del deserto.
Il viaggio verso Nukus prevede uno stop presso le rovine di chilpik kala : qui venivano compiuti atti di purificazione dei corpi dei defunti secondo la tradizione zoroastriana secondo cui questi dovevano essere esposti alle intemperie ed agli uccelli rapaci affinchè venissero spolpati e le ossa purificate.
Il Karakalpakstan
Letteralmente capello nero. Questo é il nome della Repubblica Autonoma del Karakalpakstan.
Oggi il Karakalpakstan é tra le zone più povere e sottosviluppate dell’Uzbekistan — nonostante la ricchezza del sottosuolo in gas propano. Ai tempi d’oro, quando intorno al Lago d’Aral gravitavano persone, pescatori, mercanti, tonnellate di pesce (fino a 40 tonnellate al giorno!) — la regione godeva di un discreto tenore di vita.
Un giorno il Lago é sparito, e con lui i sogni di gloria della regione.
Come se non bastasse — il clima ha risentito in modo importante della sparizione del lago ed é divenuto ancor più rigido ed ostile.
Durante il periodo sovietico il Karakalpakstan era territorio interdetto a causa dell’elevata militarizzazione della zona.
Lungo la strada attraversiamo un ponte malmesso, che ci permette di attraversare l’Amu Darya. Abbiamo già avuto a che fare con questo fiume, lungo il confine con il Turkmenistan.
Nell’ultimo tratto però é semplice scambiarlo per un canale — piuttosto che per un fiume.
Negli anni ‘50 migliaia di bulldozer ed escavatori crearono un numero infinito di canali per garantire l’irrigazione delle nuove piantagioni intensive di cotone volute dal governo centrale di Mosca.
In verità ciò non fece che aumentare il processo di desertificazione: i canali erano inadeguati, perdevano la maggior parte dell’acqua che trasportavano e, una volta arrivati nei campi, irrigando il terreno brullo, portavano a galla i banchi di sale al di sotto di esso, rendendo la terra ulteriormente meno fertile. Motivo per cui si rese necessario l’uso di fertilizzanti e concimi ben oltre i dosaggi normali. Aerei ed elicotteri sorvolavano i campi disperdendo in quantità massicce i prodotti che avrebbero garantito una grande produzione di cotone.
Il deserto del Karakum
Letteralmente sabbie nere; il deserto si estende tra Turkmenistam, Kazakhstan e Uzbekistan. Si divide in tre zone: una a nord, una centrale ed una meridionale. La parte centrale é quella pianeggiante; la parte settentrionale é stata nel tempo modellata da venti violenti.
A Nord del deserto — l’antipiano di Ustyurt sancisce la sua fine.
Di tanto in tanto avvistiamo centrali termoelettriche alimentate a gas propano, di cui il sottosuolo in questa regione é ricco.
La catastrofe ecologica si é trasformata, in un certo senso, in un vantaggio per l’Uzbekistan: nel fondo del Lago e nei suoi spazi limitrofi é stato trovato un grande giacimento di gas propano — cui seguì la costruzione delle varie centrali termoelettriche.
La capitale Nukus
E’ una città grigia fatta di palazzoni sovietici, con viali lunghi e larghi. Paradossalmente rispetto alla sua posizione — oggi conta 320 mila abitanti ed il trend di crescita é più che positivo.
A pochi chilometri da confine turkmeno, é il capoluogo della Repubblica Autonoma del Karakalpakstan.
La città é servita dall’aeroporto con voli Uzbekistan Airways che la collegano alla capitale Tashkent e con 70$ (al momento della nostra simulazione) potrete volare dalla capitale a Nukus in circa un’ora e quaranta minuti.
Il museo d’arte sovietica
Posizione su Google Maps qui.
Intitolato a Igor Savitsky
Il museo d’arte sovietica vanta intorno ai 5 mila visitatori l’anno — un numero che appare estremamente ridotto ma che va inquadrato nel contesto in cui si ritrova, ovvero in una città che pian piano perde popolazione, nel mezzo del deserto, lontana da raggiungere.
Anche chiamato il louvre delle steppe.
All’intero sono contenuti numerosi dipinti della tradizione karakalpaka ed é considerato il secondo collezione più grande del mondo per quel che riguarda l’avanguardia sovietica.
Il curatotore della collezione era Igor Savitksy che portò personalmente alcuni dei rinvenimenti all’interno delle cinque fortezze.
Si cambia con un 4x4
A Nukus cambiamo auto — e saliamo a bordo di una Toyota Land Cruise che, potesse parlare, racconterebbe senza dubbio di strade infinite, condottieri della notte e gesta eroiche.
Sbrighiamo la burocrazia di rito presso l’Hotel Ratmina (registrazione di permanenza).
Il nostro driver — che con simpatia si fa chiamare Amir Timur — percorre quotidianamente da 6 anni quelle stesse strade: a giorni alterni percorre la strada di andata e di ritorno. Si percepisce da come guida, da come rallenta, dalla maestria con cui schiva ogni fosso che — se non conosce proprio a memoria il percorso — poco ci manca.
Il tutto per un totale di quasi 150L di benzina per alimentare l’immenso fuoristrada carico di tutto il necessario.
Il viaggio é un continuo saltellare da Moynaq in poi. Non un metro di strada é esente da un buco, un fosso, una crepa. Strada che un tempo era stata asfaltata per permettere l’accesso alle varie centrali termoelettriche che, dopo la catastrofe ambientale, sono state costruite con la scoperta dei giacimenti di propano nel sottosuolo.
Moynaq: la città portuale
Siamo in viaggio da quattro ore quando avvistiamo in lontananza un grosso monumento glitterato a forma di pesce che augura ancora il benvenuto all’entrata della città — quasi a memoria della grandezza del suo passato.
A Moynaq, fino a cinquanta anni fa uno dei principali porti di pesca del Lago d’Aral, oggi si trova a più di 200km dalle sue rive. Ciò che resta della sua flotta — 11 scafi allineati di barche di varia forma e dimensione — giace sul fondo del lago prosciugato.
Sugli scafi un’infinità di coppiette ha inciso nomi ed iniziali; dietro gli scafi la sabbia marrone del deserto si estende a perdita d’occhio.
Oggi é l’unica attrazione che la città ha da offrire ai suoi visitatori.
Finchè il Lago rimaneva nei suoi pressi nessuno era disoccupato: chi era impegnato nella pesca, chi nella coltivazione di cotone, chi era impegnato nella costruzione dei canali.
Giorno dopo giorno, però, l’acqua iniziò a ritirarsi e così, d’un tratto, il lago scomparve da Moynaq — ed ai pescatori non rimase che tirare le imbarcazioni a secco per sempre.
Oggi non rimangono che poche famiglie e le strade son piene di sabbia.
In estate i 50°C sono più una certezza che una minaccia e la polvere trascinata dal vento del deserto riempie le strade — insieme a residui di concimi chimici e verosimilmente armi biologiche (come quelle rinvenute nella Penisola della Rinascita e Komsal, oggi non più penisole ma vera e propria terraferma).
La macchina rallenta sempre di più fino a fermarsi. Guardiamo fuori. Non vediamo insegne di ristoranti, niente che avesse sembianze di una locanda.
“Lunch time” — esclama il driver. Ed esce.
Il pranzo
Contrariamente a quanto ci saremmo aspettati (e con nostra grande sorpresa!) mangiamo in una casa tipica uzbeka. Alla disperazione iniziale si fa strada il gustare una cucina semplice ma saporita.
Ci viene offerta una shurpa (ovvero brodo con carne), kutabi (simil piadina ripiena di carne o verdure) e dei manti accompagnati da un discreto tè verde.
Ed é durante questo pranzo che conosciamo Richard e Brigitta, due italiani che stanno procedendo nel nostro stesso percorso — ma con diversa agenzia.
Sul fondo del lago
Da Moyunaq ci dirigiamo verso Ovest, antica sponda del lago, per poi proseguire nel fondale prosciugato.
Il bacino é asciutto da così tanto tempo che si é trasformato in una densa steppa di artemisia. Dopo qualche ora di strada tutta uguale, un po’ asfaltata, un po’ off-road scorgiamo il canyon Ustyurt.
Il canyon Ustyurt
Letteralmente altipiano — si estende verso il Kazakhstan a Nord e verso il Mar Caspio a Ovest.
Al termine della strada il 4x4 rallenta, inserisce le ridotte e sembra quasi volersi con prepotenza arrampicare sulla pista sterrata che risale la gola rocciosa.
Il contrasto con lo sfondo arido del vecchio bacino idrico ed il cielo é magnifico.
La tomba dei carovanieri
Sull’altipiano incrociamo la tomba dei carovanieri, un mausoleo comune in cui venivano depositati i resti di coloro che morivano durante l’infinita attraversata.
Rimaniamo in silenzio di fronte a tanta cura ed attenzione che l’uomo ha voluto dedicare alla Morte, anche in un contesto così distante e lontano da tutto ciò che é civile.
Il Lago d’Aral
Sul far della sera, con gli occhi carichi di meraviglia e stupore per la Natura che ci circonda — la terra si trasforma in sabbia ed avvistiamo in lontananza il Lago d’Aral, una meraviglia che cambia in continuazione e, purtroppo, si assottiglia sempre di più.
Strizziamo l’occhio — e vediamo, al di là del bacino, la terra ferma. Vediamo la Penisola della Rinascita, che ormai é terraferma, circondata da arida sabbia.
La Penisola della Rinascita
La Penisola della Rinascita era un’isola del Lago d’Aral che, a causa del progressivo ritirarsi delle acque, é divenuta penisola.
Data l’inaccessibilità del luogo divenne sede di laboratori segretissimi sovietici per la ricerca di armi chimiche e biologiche (antrace e peste bubbonica).
I laboratori della penisola furono dismessi nel 1991, senza tuttavia un corretto smaltimento dei contenitori in cui erano racchiusi i patogeni biologici. Con il tempo c’era il pericolo che questi ultimi si deteriorassero e facessero fuoriuscire il loro contenuto e che qualche animale selvatico ne venisse in contatto con il rischio di gravi epidemie mortali.
Per questo motivo nel 2002 un ingegnere biochimico statunitense tramite spedizione autorizzata neutralizzò tra 100 e 200 tonnellate di antrace in quel che si può considerare, ancora oggi, la discarica di antrace più grande al mondo.
L’acqua é molto salata e solo certe specie ittiche riescono a sopravvivere sul versante uzbeko del Lago d’Aral.
Arriviamo nell’insediamento di iurte ma non scendiamo dall’auto; andremo ad assistere al tramonto dalle rive del Lago.
Sul lago un pescatore si adopera nel riempire velocemente un sacco e ripararsi dal buio incalzante.
Gli chiediamo di farci vedere il contenuto — ma non capisce (o non vuole capire) ciò che gli chiediamo in russo.
Il tramonto
Mentre ammiriamo il tramonto veniamo attraversati da sentimenti contrastanti: l’emozione per la maestosità del paesaggio e l’amarezza per il lago che, giorno dopo giorno, perduto, muore.
Sono le 18:30 e le rocce millenarie che un tempo erano sommerse dall’acqua e popolate da un’infinita popolazione acquatica si preparano alla notte, all’aria aperta; un’altra notte dell’infinità che le attende.
Lo yurt camp
Un insediamento di iurte timido racconta di leggende passate. Passeremo la notte qui, prima del nostro ritorno nel Mondo.
Alcune piccole iurte affrontano le sponde del Lago, e di lato un caseggiato offre riparo (ed un tiepido rifugio) nelle giornate più fredde.
Su un tavolino non possiamo fare a meno di notare un telefono satellitare, con cui gli avventori comunicano. Appena arriviamo il driver per prima cosa alza la cornetta, verifica il funzionamento, e contatta qualcuno, probabilmente per dar notizia di essere arrivato e che il viaggio era andato tutto liscio.
I telefoni classici qua non prendono e non possiamo fare a meno di metterlo in modalità offline.
I servizi igienici (che igienici non sono) sono al di fuori, lontani.
La cena
Non sarebbe andata allo stesso modo, e di questo ne sono certo, se non avessimo incontrato Richard e Brigitta che hanno reso l’atmosfera meno preoccupante con la loro spensieratezza ed i loro racconti di viaggio hanno reso la cena sulle rive del Lago d’Aral una lifetime experience.
Una tavola imbandita con frutta fresca, frutta secca, pane (intero, come simbolo di ospitalità come obbliga la tradizione!), tè. Ogni ben di Dio per gli ospiti di quella notte.
Siamo seduti a chiacchierare da un po’ quando ci viene servito il plov caldo, appena tolto dalla pentola. Ogni regione ha la sua ricetta e questo plov é con i peperoni, invece che con i ceci.
La notte in tenda
Facciamo i letti, un po’ incuriositi, un po’ affascinati, un po’ guardinghi.
Dei cinque letti disponibili, scegliamo i due centrali.
Fuori non é eccessivamente freddo, ma la notte sappiamo la temperatura scenderà parecchio e non lesiniamo sui piumoni.
Per anni avevo sognato quel momento — l’essere in mezzo al deserto dell’Asia Centrale — e fotografare le stelle al buio più totale, spoglie di ogni riflesso o luce artificiale, solo io e loro, con in mezzo la mia macchina fotografica.
“Ma la vita non sempre va come si desidera” (come recitava un’insegna nei pressi dell’ostello in cui soggiornai durante la mia settimana a Seoul nel 2017).
Quella notte una luna piena illuminava a giorno il mondo sottostante.
Alle 22 eravamo già sotto le coperte.
Ci dicono che c’era il rischio di incappare in qualche scorpione durante la notte…ne avremo incontrato qualcuno?
Solo la notte poteva dircelo.
L’alba sul Lago e la colazione
Un sonno pesante si impossessa di noi, ma solo fino alle 5.
Mi desto, svegliato dal sonno dall’abbaiare di un cane solitario che urla alla luna.
Non perdo un secondo e, vestito, con un salto, esco dalla iurta.
Fuori — la luna ha lasciato lo spazio alle tenebre, ma ancora persiste rimarcando la sua presenza con il riverbero sul cielo.
La GoPro, silenziosa ed impassibile, aspetta sveglia l’alba.
Ma ancora per poco — perché un sole silenzioso si fa prepotentemente spazio all’orizzonte, in direzione del Lago d’Aral.
Ed é in quel momento — all’alba — che, per la seconda volta, siamo grati per tutta la fatica compiuta per arrivare fino a lì, in quello yurt camp costruito sul fondo del lago prosciugato, lontano più di 200km dal paese più vicino — e ci sentiamo in qualche modo fortunati, nell’aver avuto la possibilità di essere lì.
Nonostante tutte le paure ed i dubbi dei giorni precedenti.
Facciamo colazione con tè, biscotti, frutta fresca e secca, yogurt.
Incontriamo Brigitta e Richard e, senza fare una foto ricordo, ci salutiamo.
Le nostre strade — intrecciatesi nello yurt camp — si dividono lì.
La partenza
Non c’è tempo da perdere e, in men che si dica, siamo nuovamente in marcia — ma in senso opposto.
Ci allontaniamo dal lago che muore, dalle iurte e dalla solitiduine umana.
I caravanserragli
Lungo il percorso vediamo quel che rimane di vecchi caravanserragli, un tempo oasi di ristoro per i mercanti e le bestie che trafficavano lungo questa rotta, dal Kazakhstan all’Uzbekistan.
L’aeroporto che non c’è
Posizione su Google Maps qui.
Sulla via del ritorno incrociamo un piccolo insediamento che da lontano ci appare abbandonato; in verità é abitato.
La prima sosta é nella pista di quel che un tempo era l’aeroporto della zona — oltre a quello di Moynaq.
Komsomolsk sull’Ustyurte é il nome del villaggio — che un tempo vantava perfino un aeroporto e serviva come postazione militare sovietica.
La necropoli di Mizdakkhan
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Il ritorno
Abbandoniamo definitivamente la zona del Lago d’Aral, percorrendo in direzione Sud la strada che mette in collegamento Beyneu, in Kazakhstan — con Jasliq.
Il pranzo
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Quando non ci aspettiamo più niente dal pranzo — ecco che il destino decide di sorprenderci per l’ennesima volta. Accostiamo in un largo piazzale lungo quella che sembra una strada a scorrimento veloce che collega il Kazakhstan (Beuney) a Nukus, in una caffetteria.
Entriamo, sala da pranzo estremamente ampia, ci fanno accomodare in un cabinet.
Mangiamo cose buone, forse perché siamo felici.
Felici per l’esperienza fatta ma, forse, ancor di più — per il poter finalmente metterci comodi e rilassarci un attimo dopo tre giorni di auto.
Khiva
Arriviamo nel nostro hotel di Khiva sul tardi, alle 19:30. Facciamo il check-in e siamo contenti. Nonostante i più di 1500km degli ultimi tre giorni, abbiamo una grinta quasi sorprendente.
Il tempo di una doccia — e siamo nuovamente fuori, in giro, per Khiva. Non ci viene difficile — considerato che siamo letteralmente in centro.
Quando ormai pensavamo che nulla potesse più stupirci dell’Uzbekistan, Khiva ribalta le carte in tavola — e riesce a stupirci e lasciarci a bocca aperta.